mercoledì 14 ottobre 2015

LA CASA DI VIA DEI MATTI

Continuando a cercare lavoro ossessivamente tutti i giorni, mi è tornato in mente un periodo della mia vita in cui non avevo di questi pensieri, che sarebbero venuti solo negli anni a venire.
Vi ricordate quando vi raccontavo dei primi anni della mia infanzia vissuta in campagna?
Ci sono migliaia di aneddoti mescolati ai ricordi sussurrati dalla memoria alla mia anima dolorante, briciole e gocce di vita che hanno costituito un ponte invisibile fino al presente di questa mia esistenza.
Tornando alla casa, devo dire che questa non era assolutamente di nostra proprietà, ma eravamo dei semplici ed umili inquilini che pagavano un affitto esagerato  - addirittura esorbitante in rapporto alla qualità che veniva offerta in cambio della pigione mensile - per vivere tra le quattro pareti di quella catapecchia. Un vecchio rudere malridotto e scalcinato, sembrava quasi un residuato storico in rovina  di qualche assedio medievale; pieno di crepe da tutte le parti e con segni evidenti di muffa ed umidità. A me sembrava la "casa di Via dei Matti, numero zero", e poi "senza soffitto, senza cucina, che era bella, bella devvero, in via dei matti numero zero" descritta dalla canzoncina del grande Sergio Endrigo.
Nessuna esagerazione, era uno schifo di casa. Ma non c' era altro, non si poteva scegliere tra più alternative e.... quasi pensavo che quel baraccone fatiscente fosse quasi normale. Ingenuità tipica del fanciullo.
Mi ricordo che quel tugurio fosse estremamente piccolo al suo interno, anche più di quanto si potesse intuire guardandolo dall' esterno. Dal vecchio portone d' ingresso - che veniva azionato da un meccanismo che accoppiava una normale serratura di quelle standard in quell' epoca ad un vecchio, imponente chiavistello che completava la messa in sicurezza della chiusura - si vedeva partire la lunga rampa di vecchi gradini che conducevano ai piani superiori.
Al pianterreno, una vecchia cantina dalle pareti spoglie e grezze, dove l' odore penetrante di ferri arrugginiti e del legno marcio dei mobili di servizio ti penetrava le narici e s' inchiodava al cervello per ore ed ore. A fianco del portone d' ingresso di questa, si accedeva alla porta d' ingresso vera e proprio, che aveva un accesso separato ed indipendente; da qui si saliva arrivando al primo piano, trovando una modestissima cucina di medie dimensioni, non troppo grande e neppure troppo piccola (almeno considerando una piccola famiglia composta al massimo da tre persone) ed arredata con vecchi mobili spartani e buoni per la rottamazione, magari anche per essere impiegati come legna da ardere nel camino acceso.
Fragili e cigolanti le sedie, con gambi metallici che nemmeno sembravano tutti uguali tra loro, ma che dondolavano fastidiosamente senza potervi trovare un punto di equilibrio una volta che ci mettevi le chiappe sopra. Molto meglio le care vecchie pagliette, con i gambi di legno e decisamente più comode ed affidabili.
La cucina, oltre a servire come punto di riferimento per la preparazione dei cibi, era in realtà la stanza principale dove si svolgeva l' attività diurna di chi restava a casa nelle ore mattutine o pomeridiane: i compiti si facevano su quello stesso tavolino sul quale venivano sbucciati i fagiolini o pulite le altre verdure. Per di più, la televisione più grande della "casa" si trovava proprio lì, nel cuore pulsante della vecchia dimora, a collegare quello sperduto angolo di posto (quasi post-apocalittico, a pensarci col senno di poi) con il resto del mondo. Quel vecchio televisore in bianco e nero, senza telecomando, in cui la sintonia dei vari canali ed emittenti televisive veniva regolata manualmente mediante un piccolissimo cacciavite (!) con punta a stella. Roba da pazzi!
Ricordo ancora le urla di disperazione di mia madre, ogni volta che quel benedetto cacciavite veniva smarrito, anche temporaneamente: chi se le sorbiva certe trasmissioni noiose senza nemmeno avere la libertà - imprescindibile dell' essere umano  di poter cambiare canale tv?
Per quanto riguardava me, gli unici programmi interessanti erano i cartoni animati del tardo pomeriggio Remì, L' Ape Maia (adoravo la cavalletta con la tuba in testa) e soprattutto Mazinga Z.
Per il resto, preferivo decisamente passare il mio tempo a giocare con i miei soldatini nel grande cortile sottostante, scavando delle piccole trincee per rendere più interessanti le mie "battaglie" tra omini di plastica e macchinine varie.
In caso di maltempo, ovviamente era impossibile starsene fuori a giocare, ed ero costretto mio malgrado alla soluzione di ripiego: non potendo usare il tavolo della cucina - perchè in quel momento  era in uso da parte di mia madre che stava preparando la cena - mi sedevo lungo i gradini della grande scala interna, disponendo i miei giocattoli in maniera tale che intralciassero il passo il meno possibile (ed evitando pertanto di incorrere nelle ire di mia madre).
L' ultima stanza (che poi, in pratica, considerando che la cucina era un vano di servizio, era pure l' unica camera lì dentro) era al secondo piano di quel vecchio edificio, logoro e sofferente nelle sue crepe. Le dimensioni di quella camera erano pressochè identiche a quelle della cucina sottostante, ricalcavano precisamente e millimetricamente la pianta del piano di sotto; il grande letto matrimoniale era disposto in posizione centrale, mentre il lettino singolo del bambino (ovvero il sottoscritto) era disposto lateralmente, con un lato appoggiato ad una delle pareti.
L' unico confort (?) era rappresentato da una vecchia televisioncina (più piccola di quella presente in cucina) ed ancora peggiore, a livello di tecnologia e di funzioni offerte all' utente, del televisore al piano di sotto. Ricordo ancora i tanti film con Lino Banfi, Renzo Montagnani, Alvaro Vitali, Pippo Franco, Renato Pozzetto, Edwige Fenech, Barbara Bouchet, etc. visti davanti a quel piccolo schermo in bianco e nero, e la voce severa di mia madre che mi ammoniva intimandomi di voltarmi verso il muro... ogni qual volta si presentasse una scena di nudo durante il film (altri tempi, a quei tempi si insegnava il senso del pudore ai propri figli).  E siccome in quelle pellicole della commedia italiana anni 70-80 quelle scenette se ne potevano trovare a decine... in pratica più che i film, vedevo sempre più la parete che non il film, con mio grande disappunto.
Del bagno non ne ho parlato perchè... non c' era. O meglio, era presente all' esterno del fabbricato principale, a quasi una decina di metri dall' ingresso. Ed era in uno stato assolutamente pietoso, con una finestra (o meglio, una specie di feritoia) senza vetri ed il soffitto costantemente pieno di ragnatele ed altre schifezze nonostante le pulizie quotidiane. A quei tempi, se possibile evitavamo - specie di notte e durante l' inverno -  di entrare dentro quel cesso da incubo - ed eravamo costretti ad usare i vasi da notte, che venivano puliti, lavati e disinfettati da mia madre il mattino seguente.
Ad ogni modo, una delle emozioni più grandi della mia giornata - tipo, della mia routine quotidiana, era sicuramente udire il rumore inconfondibile del motore della vecchia Vespa Piaggio di mio padre, che tornava dal lavoro intorno alle sette di sera e mi precipitavo immediatamente ad abbracciare quel papà che stava lontano da me tutto il giorno per mantenere la sua famiglia col duro lavoro offerto da cave e marmo.
E nonostante la schiena spezzata dalla fatica, non mi negava mai un sorriso, una carezza ed un abbraccio quando andavo ad accoglierlo al margine del cortile.
Mi prendeva con quelle braccia forti come la roccia e mi faceva accomodare sulle ginocchia, sobbarcandosi volentieri l' ennesima fatica che il destino gli riservava: era costretto dall' inesorabile pargoletto a leggere a quest' ultimo una, due, o tre favole dai piccoli libri per bimbi collezionati dal sottoscritto a quei tempi.
Era uno schifo di casa, ma mi mancano un sacco quei giorni felici nella casa di "Via dei matti".

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