lunedì 27 gennaio 2014

LAVORO E FATICA

Ho cominciato a  lavorare abbastanza presto, quando ero ancora adolescente, avevo i capelli sulla testa ed frequentavo i primi anni delle scuole superiori. Nel finesettimana indossavo una camicia bianca ed un paio di pantaloni neri e facevo il cameriere (ovviamente in nero) in un locale in pieno centro al Forte - mi pare si chiamasse Minachel o qualcosa del genere - la primissima esperienza. Una specie di inferno, a considerare che un ragazzino aveva solamente da imparare e solamente una robusta dose di umiltà (unita ad una massiccia dose di buona volontà), ma sapevo che prima o poi tutti i sacrifici avrebbero avuto un senso. Qualche anno dopo, mentre la settimana trascorreva sui libri di scuola, passai i miei weekend a a lavorare in posti tipo il Mokambo (era un ristorante che sorgeva a Forte dei Marmi vicino alla celebre "Capannina") senza risparmiare energie e comprendendo subito quanto fosse duro il mondo del lavoro, molto di più di quello che sembrava dall' esterno... E per quanto tu ti impegnassi, avresti dovuto sempre dare di più, perchè per i "padroni" (un tempo si chiamavano così i datori di lavoro) non era mai abbastanza, a prescindere da tutto. Nel giro di poco, mentre si chiudeva felicemente l' anno scolastico, potevo concentrarmi sul cercare un posto di lavoro stagionale - e questa è la storia di come acquistai il mio primo "catorcio" a quattro ruote, una vecchia Wolkswagen Golf 1.3 che funzionava ancora miracolosamente per grazia ricevuta - trovato infine dopo una lunga ricerca  primaverile, porta a porta, presso gli alberghi ed i ristoranti che a marzo/aprile cominciavano a riaprire i battenti in vista dell' imminente stagione estiva. Non era una ricerca facile e nemmeno divertente perchè anche a quei tempi, quando ti presentavi per cercare un posto di lavoro, i titolari di alberghi e ristoranti preferivano "apprendisti con esperienza" - che non solo è una contraddizione in termini, ma anche una vera e propria utopia. Ma quell' estate 1996, dopo tanti colloqui infruttuosi, ebbi l' occasione giusta per lavorare durante i mesi dell' estate, prima della riapertura delle scuole. Insomma, alla pizzeria Cervetti di Tonfano (Marina di Pietrasanta) mi feci un culo come un cerchione di un autotreno, ma imparai anche a credere veramente in me stesso e nelle mie forze, comprendendo in profondità l' importanza del lavoro delle proprie mani e del sudore della propria fronte. In breve, anche quando riuscii a diplomarmi  geometra e ritornai dal servizio militare (in questa occasione tralascerò volutamente la minchiata storica che ti segna per tutta la vita, ovvero lasciare la scuola per sottufficiali dei carabinieri dopo avere praticamente vinto il concorso, solo per capriccio di una ragazza) e ricominciai a fare tutti i mestieri umili esistenti ed immaginabili, credo che nel mio curriculum manchino solamente esperienze di "domatore dei leoni" e "sirena a bordo delle autoambulanze". Io per soldi ho fatto di tutto e sarei disposto a fare anche il bersaglio umano, la sagoma vivente al poligono di tiro. Chi mi ha conosciuto, anche in ambito lavorativo, sa quanto io ami lavorare e quanto mi uccida stare lontano dalla fatica e dalla gioia che essa sappia dare ad un essere umano. E adesso mi tocca ancora una volta sentire che "...gli italiani non hanno voglia di fare certi lavori perchè sono viziati e meno male ci sono gli stranieri sennò come faremmo". Ecco, nessuno faccia questo discorso a me perchè mi fa veramente arrabbiare. Tutto qui.

venerdì 24 gennaio 2014

NOSTALGIA DI UN CALCIO CHE NON C' E' PIU'

Mah.... Questo calcio qua non mi piace da un bel pezzo. Sarò anche un dinosauro, ma mi piaceva quando avevamo nel nostro campionato i calciatori più forti del mondo, quando un immenso Zico accettava di giocare nell' Udinese e Futre nella Reggina, Maradona veniva strappato dal Napoli nientepopodimenochè al Barcellona ed anche le squadre meno forti avevano i loro tre stranieri (che poi fossero dei campioni o dei brocchi, questo era tutto un altro discorso). Conoscevi le formazioni a memoria, ogni numero sulla maglia indicava inequivocabilmente il ruolo del giocatore che la indossava e tante altre cose rendevano il calcio uno sport bello quanto semplice. Adesso sgambettano per il campo miliardari che guadagnano in tre mesi molto di più di quanto una media azienda riuscisse a fatturare in un anno. Gente senz' anima e senza talento, che trascina una vita senza senso e con l' unico pensiero di accumulare sempre più denaro sul proprio conto corrente. Ridatemi un campione semplice, senza ossessione per il denaro ma solo con quella genuina gioia per il palleggio e per il dribbling. Ne esistono ancora? Sinceramente penso di no.