mercoledì 2 novembre 2016

DESTINI E MIRAGGI

Per i capricci di qualche sfuggente divinità dell' aldilà, mi ritrovo ancora fermo ai box a combattere con me stesso per trovare un centro di gravità permanente.
Sono anni, anni ed anni che combatto contro il precariato e la disoccupazione (condizioni che mi riguardano mio malgrado e che rallentano e penalizzano la condizione della mia esistenza terrena, ponendomi in handicap perenne col resto del mondo) e, pur rifuggendo da qualsiasi odioso tentativo di lagna o auto-compatimento, mi ritrovo a brontolare di come vadano le cose.
Sì, odio piangermi addosso: non sono il tipo. Anche perchè i problemi non si risolvono da soli, proprio per niente. Non è vero affatto che il tempo sistema tutte le cose, anzi: bisogna continuamente combattere per la sopravvivenza e per impedire che l' inedia ti avvolga tra le sue spire e cominci a stritolarti come un gigantesco pitone reticolato costituito da ansia, disperazione e rassegnazione.
Invece no, continua la battaglia contro quell' assurdo destino che ti vede sempre attaccato al bordo franoso del sentiero di montagna, sospeso per un braccio (che fa sempre più fatica a stare aggrappato a quel lembo di terra che si sta pericolosamente smuovendo verso il basso) appena sopra un precipizio di cui non si riesce nemmeno ad intravedere il fondo.
Colloqui, annunci, candidature, consegna a mano di curriculum, telefonate, etc. diventano una terribile routine che di fatto si trasformano in una tremenda sorta di tortura cinese, tipo quella della goccia che ti cade ritmicamente sulla capoccia.
Come dicevo, non sono tipo da piangermi addosso (oltre che essere improduttivo, lo trovo assolutamente umiliante), ma comincio a anche a provare una certa insofferenza - che sfocia nell' incazzatura più nera dopo essere passata attraverso una serie di sfumature progressive di irritazione - quando ti accorgi che i tuoi sforzi risultano ancora improduttivi, sterili, inutili.
Mi sono gettato con serietà e professionalità in lavori che non conoscevo per affrontare d' impatto il problema (a parte il domatore di leoni e la sirena umana a bordo delle ambulanze, ritengo a buona ragione di avere svolto un po' tutti i mestieri, ergo non mi sembra di essere un tipo schizzinoso) ma mi ritrovo ancora sballottato nel mare in tempesta, e nuovamente lontano dalla costa cui approdare.
Un' impresa unica, la mia vita.
Talmente assurda che, in confronto alla mia esistenza, la Divina Commedia di Dante sembrerebbe il "Corriere dei Piccoli".
Dannazione, il fatto di essere fermo ai box e costretto a lavoretti inutili, quasi invisibili e senza alcuna prospettiva concreta mi fa sentire schifosamente inutile.
Come faccio a realizzare anche uno solo dei tanti progetti fisiologici che dovrebbero essere alla portata di ogni individuo umano?
Non ho avuto le spalle coperte dai parenti, anzi. Solo la genetica mi può trovare delle cellule in comune con altri individui (a eccezione delle mie adoratissime figlie, ovviamente) cui replico e ricambio la mia totale indifferenza. Nessun aiuto, come dicevamo, e nemmeno lo vorrei, probabilmente.
Nessun bene di proprietà, nemmeno un rudere diroccato e abbandonato in mezzo al bosco, che pur farebbe la mia totale felicità. Niente. Eredità bruciate da altre mani, non certo le mie, che raccolgono solo la cenere altrui.... Detto questo, almeno il lavoro sarebbe stata la condizione unica e necessaria per raggiungere quegli obiettivi che fino a poco tempo fa mi sembravano assolutamente raggiungibili e invece adesso mi sembrano assumere i contorni di un improbabile miraggio.

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